S. Scholl: En quête d’une modernité religieuse

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Titel
En quête d’une modernité religieuse. La création de l’Eglise catholique-chrétienne de Genève au cœur du Kulturkampf (1870−1907)


Autor(en)
Scholl, Sarah
Erschienen
Neuchâtel 2014: Éditions Alphil
Anzahl Seiten
470 S.
Preis
URL
Rezensiert für infoclio.ch und H-Soz-Kult von:
Luca Sandoni

«La modernité est-elle synonyme uniquement de sécularisation et de laïcité?» (9). È questa la domanda con cui Sarah Scholl apre il suo libro, riassumendone in maniera efficace la problematica centrale. Pubblicazione di una tesi di dottorato realizzata sotto la direzione di Philippe Boutry (EHESS, Parigi) e di Michel Grandjean (Università di Ginevra), En quête d’une modernité religieuse affronta il nodo delle profonde trasformazioni vissute dal cristianesimo (e specificamente dal cattolicesimo) nell’ultimo terzo del XIX secolo, sotto la pressione dei processi di modernizzazione e secolarizzazione, e lo fa prendendo in considerazione un caso specifico, quello della Chiesa cattolicocristiana di Ginevra, istituita nel 1873 come Chiesa cattolica nazionale in rottura con Roma. Incrociando i metodi e gli strumenti della microstoria, della storia culturale e di quella sociale, l’autrice mette a frutto fonti archivistiche finora inesplorate e una vasta documentazione a stampa, allo scopo di studiare le modalità in cui certe idee riformatrici si sono «incarnate» (11) in una pratica istituzionale e sociale, in una collettività fatta di ideologie, mentalità, rappresentazioni, ma anche pratiche e abitudini. Con questo contributo maggiore Scholl prosegue una produzione scientifica già ampia, incentrata sulla costruzione del pluralismo religioso e sul rapporto tra laicità e identità religiose nelle società moderne, con particolare riguardo al tardo Ottocento e al contesto svizzero-ginevrino.

Il libro è composto da un’introduzione, cinque sezioni di consistenza diseguale, una conclusione e varie appendici (una tavola cronologica, alcuni dati statistici, dei documenti legislativi), oltre che da un dettagliato elenco delle fonti e della bibliografia e dall’indice dei nomi.

Nella parte introduttiva Scholl fornisce alcune informazioni di contesto, inserendo le vicende della Chiesa cattolico-cristiana nel quadro del pluralismo confessionale di Ginevra (dove nel corso del XIX secolo si assiste alla rapida crescita della popolazione cattolica, che giunge a eguagliare e poi superare quella protestante) e delle lotte anticlericali (i Kulturkämpfe) scoppiate in vari cantoni svizzeri negli anni 1870s−80s e caratterizzate dal deciso intervento dello Stato in materia religiosa ed ecclesiastica. Vengono inoltre brevemente presentate le caratteristiche essenziali della nuova Chiesa ginevrina: liberale (cioè favorevole alle libertà individuali e ai valori democratico-repubblicani), nazionale (cioè antiromana e statale) e cattolico-cristiana o vetero-cattolica (cioè desiderosa di ritornare al catto-licesimo dei primi otto secoli e inserita nel più vasto movimento vetero-cattolico europeo).

La prima parte (25−106) prosegue e amplia l’introduzione, analizzando in maniera più dettagliata il contesto in cui si realizza l’istituzione della Chiesa cattolico-cristiana, i modelli a cui essa si ispira e le personalità che la animano. Gli anni 1860s vedono infatti emergere una nuova genera-zione di cattolici, cresciuti alla scuola dei valori repubblicani e nazionali, che espri-mono una forte domanda di uguaglianza, vogliono emanciparsi dall’oscurantismo romano e ultramontano e nutrono idee politiche liberali e progressiste. Essi assumono posture apertamente anticlericali e partecipano, talvolta promuovendoli, ai primi tentativi di laicizzare la sfera pubblica. Pare tuttavia difficile inquadrarli da un punto di vista confessionale: essi si definiscono cattolici liberali, provengono da ambienti cattolici, ma mostrano delle «convictions religieuses mouvantes» (85), non praticano il culto e si accostano al libero pensiero, al deismo e perfino all’ateismo. La loro identità sociale (che a Ginevra è declinata in termini strettamente confessionali) sempre essere definita più in negativo che in positivo, come non-appartenenza alla comunità calvinista egemone. Su questo punto Scholl fornisce solo alcune suggestioni, sottolineando però la forte influenza che il liberalismo teolo-gico e il modello della Chiesa nazionale calvinista esercitano su questi cattolici liberali/radicali.

Nella seconda parte (107−85) vengono descritti i precedenti immediati e l’iter legislativo che porta all’istituzione e all’organizzazione della Chiesa cristiano-cattolica (con le leggi del febbraio e dell’agosto 1873). Scholl mette giustamente in rilievo il forte legame che unisce questa soluzione al fallimento del primo tentativo legislativo di separatismo religioso (respinto a stretta maggioranza nell’ottobre 1872): nell’impossibilità di realizzare la separazione (mediante la quale le forze anticlericali vorrebbero in realtà rafforzare il controllo dello Stato sulla sfera religiosa ed educativa, più che garantire l’autonomia delle Chiese), si cerca di realizzare lo stesso obiettivo percorrendo la strada opposta, cioè riorganizzando la Chiesa cattolica su una base nazionale e moderna. Questo esito è reso quanto mai necessario e urgente, agli occhi dei radicali e dei cattolici liberali, dall’irrigidimento della Chiesa romana su posizioni antimoderne (Sillabo) e accentratrici (infallibilità e giurisdizione universale del papato) e dai timori di una possibile riconquista papista di Ginevra, culminati nel duro scontro tra governo cantonale e Santa Sede per la ricostituzione di un vescovato cittadino. L’istituzione della Chiesa cattolica di Stato e la durezza delle misure con cui si intende applicare la nuova legislazione aprono una frattura profonda tra il governo e la maggioranza dei fedeli cattolici i quali, guidati da un clero rimasto compattamente fedele a Roma, rifiutano qualsiasi compromesso e sviluppano una retorica della persecuzione e del martirio che rianima lo spirito identitario e la religiosità delle masse, ma si accompagna a una vera e propria organizzazione dell’odio contro protestanti e cattolici «intrusi».

La terza (187−263) e quarta parte (265−339) costituiscono il cuore e la sezione più innovativa del libro. Qui l’autrice analizza la costruzione, rispettivamente, di un’ecclesiologia cattolico-cristiana e di una «nouvelle culture catholique». Sul piano del riformismo ecclesiale, sono tre gli elementi centrali: 1) la democratizzazione dell’organizzazione interna, mediante l’elezione diretta dei parroci e l’istituzione di organi collegiali con importanti compiti amministrativi e di supervisione, a livello parrocchiale, cantonale e federale (poiché la Chiesa ginevrina s’inserisce fin da subito nella diocesi cattolico-cristiana della Svizzera); 2) la forte affermazione del laicato, che acquista una funzione direttiva su tutto ciò che riguarda la sfera politica e temporale; 3) il ridimensionamento della preponderanza clericale e il ripensamento dello status ecclesiastico: i sacerdoti diventano uomini come tutti gli altri, possono sposarsi e avere figli, sono a tutti gli effetti funzionari dello Stato. La nuova Chiesa si dota rapidamente di una propria cultura, sia sul piano educativo, che su quello teologico-cultuale. Lo studio della storia, condotto con i moderni strumenti del metodo critico, viene utilizzato per smascherare le deformazioni del papismo, ma anche per dotare la Chiesa cattolico-cristiana di una «genealogia immaginaria» di precursori (le Lumières cattoliche, il gallicanesimo, la Petite Eglise d’inizio Ottocento, il Lamennais liberale ecc.). Le modifiche apportate al dogma eucaristico, alle pratiche sacra-mentali della confessione e del battesimo e al «culto dei morti» cambiano comportamenti e rappresentazioni collettive. Qui davvero lo sforzo riformatore arriva a incidere concretamente sulla mentalità di un gruppo sociale, per quanto ristretto, proponendo una rivalutazione «umanistica» della vita terrena, una diversa concezione del peccato e della salvezza ultraterrena, una forte rivendicazione dell’autonomia della coscienza individuale, ma anche smorzando le barriere confessionali e favorendo scambi e contatti con il protestantesimo.

La quinta e ultima parte (341−80) è dedicata a quello che Scholl definisce un «changement de paradigme», cioè al passaggio dall’interventismo alla neutralità statale in materia religiosa; nel giugno 1907 viene infatti approvata una legge che abolisce il finanziamento pubblico ai culti riconosciuti, ponendo fine all’esperienza delle Chiese nazionali. Pur dipendendo da una pluralità di fattori (tra cui il rinnovato attivismo politico dei cattolici romani e il crescente disinteresse dei radicali per le questioni religiose, a favore di quelle sociali), questo esito è strettamente legato al fallimento del progetto politico cattolico-cristiano, che non è riuscito a raccogliere e modernizzare in un’unica Chiesa nazionale i cattolici ginevrini e ha visto ridurre il proprio ruolo a quello di una minoranza illuminata ma senza seguito. Così, nell’impossibilità di esercitare un uguale controllo su tutte le Chiese, la neutralità statale appare la soluzione migliore per garantire l’uguaglianza dei culti di fronte alla legge.

Partita con l’ipotesi che la creazione delle Chiese nazionali fosse «un préalable à la séparation» (10), Scholl si sofferma nella parte conclusiva (381−388) sugli esiti del Kulturkampf e dell’esperienza cattolico-cristiana nel ridefinire «le christianisme en modernité» a Ginevra. Un primo fatto s’impone: le lotte politico-religiose del periodo 1860−1907 separano in maniera duratura sfera religiosa e sfera politica, ridimensionando le competenze delle Chiese e determinando una progressiva riduzione della fede e della pratica religiosa al mero ambito privato. Nonostante il cambio di paradigma, le politiche ginevrine hanno in realtà un fine comune, quello di imporre in maniera sempre più efficace la sovranità dello Stato sull’ambito educativo e religioso. Secolarizzazione e separazione non comportano però, a Ginevra, una scristianizzazione degli spazi pubblici e dell’immaginario simbolico nazionale. È questa la tesi più stimolante che emerge dalla ricerca di Scholl: la politica anticleri-cale e la separazione non tagliano i ponti con il cristianesimo, bensì favoriscono la creazione di un’identità collettiva ginevrina aconfessionale, portatrice di una morale cristiana comune, tollerante, priva di dogmi, largamente privata di riferimenti soprannaturali, imbevuta di valori democratici e repubblicani. Il Kulturkampf e l’esperienza delle Chiese nazionali hanno tentato senza successo di fare di questa «religion consensuelle, à vocation unificatrice» (384) la religione civile della patria, ma il loro fallimento ha lasciato in eredità a Ginevra «un patrimoine chrétien collectif» (385) che verrà piegato nel corso del XX secolo alle più svariate strumentalizzazioni (in senso conservatore, nazionalista, anti-comunista, anti-femminista…). In tutto questo, l’esperienza della Chiesa cattolico-cristiana svolge un ruolo fondamentale: agendo come camera di compensazione tra istanze di modernizzazione e istanze di negazione del religioso, essa giunge – per riprendere l’efficace espressione di Scholl ‒ «à court-circuiter l’élaboration d’une identité nationale et d’une morale entièrement laïques» e a fondare una «appartenance chrétienne qui dissocie la pratique cultuelle d’une Weltanschauung croyante, fortement morale» (388). Il concetto di «laicizzazione incompleta» che emerge dall’analisi condotta da Scholl sulla società ginevrina tardo ottocentesca, una società che si secolarizza senza privarsi di una forte identità religiosa, costituisce senza dubbio uno degli elementi più interessanti del libro e conferma la validità ermeneuti-a dell’approccio scelto dall’autrice, che dallo studio di un contesto particolarmente circoscritto e periferico trae interpretazioni, spunti di riflessione e ipotesi di lavoro che potranno essere applicati con profitto per sollecitare e comprendere realtà e con-testi anche molto più ampi.

Zitierweise:
Luca Sandoni: Rezension zu: Sarah Scholl, En quête d’une modernité religieuse. La création de l’Eglise catholique-chrétienne de Genève au cœur du Kulturkampf (1870−1907), Neuchâtel, Editions Alphile, 2014. Zuerst erschienen in: Schweizerische Zeitschrift für Religions und Kulturgeschichte, Vol. 109, 2015, S. 450-453.

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